Il diario di David Bowie su Heathen 1

Il diario di David Bowie su Heathen

Heathen | Slow burn | il diario di Bowie | il tour | le interviste 

heathenDAVID BOWIE JOURNAL

Tra il 13 e il 27 maggio Bowie ha pubblicato sul suo sito ufficiale, il BowieNet, alcune pagine del suo diario personale in cui ha raccontato ai propri fans la genesi di Heathen, la scelta della band, le emozioni provate, l’attesa, gli aneddoti e molto di più. Velvetgoldmine ha raccolto quelle pagine e le ha tradotte, ricomponendole in un diario
Traduzioni di Daniele Federici “Maudit”

13 maggio 2002 – Heathen: riflettendo

Era da un po’ di anni che io e Tony Visconti pensavamo di lavorare nuovamente insieme. Entrambi avevamo molti impegni a cui far fronte e per molto tempo non siamo riusciti a ritagliare uno spazio nel quale avremmo potuto fare qualcosa insieme. Quando fu primavera, l’anno scorso, le cose hanno cominciato a semplificarsi. Dissi a Mark Plati e alla mia band che sarei scomparso per un po’ e che avrei messo su qualcosa con Tony. Furono molto comprensivi, hanno lavorato con me abbastanza per sapere che ci saremmo riuniti molto presto.

È così che tutto prese forma. Andai a casa di Tony e ci rimasi per un po’ parlando e suonando nel suo studio casalingo per trovare il giusto feeling di ciò che ero diventato. Ironicamente, il primo pezzo che abbiamo registrato lì in demo e del quale eravamo veramente entusiasti è una canzone che non ce l’ha fatta a vedere la luce nella tracklist finale. In ogni modo, è stata il nostro punto di partenza.
Non sapevamo in quale direzione ci stessimo movendo, ma è stata una vera gioia quando ci siamo arrivati. Sentivo il senso del peso sonoro di ciò che ero, una sorta di approccio non professionale, una sorta di amatorialità britannica. E intendo amatoriale nel senso affascinante di un uomo che, solo la domenica, costruisce una cattedrale con dei fiammiferi; bella, ma solo per piacere personale, della sua famiglia, dei suoi amici. Sono entrato proprio in questo modo. Volevo provare il potere consolatorio della musica. Volevo dirigermi verso una restaurazione culturale personale, usando tutto ciò che conoscevo senza tornare al passato. Volevo sentire il peso e la profondità degli anni. Tutte le mie esperienze, tutte le domande, tutta la paura, tutto l’isolamento spirituale. Qualcosa che esulasse dal senso del tempo, né passato né presente. È così che cavalcano i vecchi ragazzi.

David Bowie

Martedì 14 maggio 2002 – Heathen: riflettendo II

Durante l’estate del 2001, mi fu riferito dal chitarrista David Torn di un nuovo studio che stava per essere ultimato: Allaire. Tony Visconti ed io ci facemmo un salto qualche settimana prima di cominciare a lavorarci, giusto per farci un’idea; infatti, T-Bone Burnett stava registrando lì insieme a Nathalie Merchant. E’ appena fuori Woodstock, lontano, silenzioso e ispirante. Non riuscivamo a credere alla scoperta che avevamo fatto. Il posto era stato originariamente costruito negli anni ’20 come casa estiva di un industriale e della sua famiglia. Era sotto l’incantesimo di un certo stile architettonico, tutto in legno con abbellimenti nautici. Essere nell’edificio era, a volte, come essere in uno di quegli yacht dell’era Eisenhower o qualcosa del genere. Aveva anche un colore blu marittimo. Doveva averlo ordinato appositamente, immagino.

La stanza principale, che doveva essere stata la camera da pranzo ai tempi, era così alta, oh, quasi tre metri, tre metri e mezzo con finestroni enormi. Veramente enormi. E la vista. Be’, l’intero complesso era situato sulla cima di una montagna regalando una vista di 50 miglia per 180 gradi sulla riserva Ashokan. Da nord a ovest fino a sud. Incredibile. Sapevo esattamente quali testi avrei scritto a breve appena feci il primo passo nella stanza, sebbene ancora non sapessi quali fossero le parole esatte.

Ora, un posto del genere, può provocarmi due reazioni; o divento super euforico o profondamente depresso, prendendo l’insoddisfazione come la mia “posizione standard”. La mia anima vola, erratica, sulle ali di ciò che immaginerei: è un sottile bipolarismo. Non del tipo “completamente fuori”. Ho riscontrato questo, ma non sono questo. In ogni modo, qualcosa del genere mi stuzzica nelle mie ore più quiete.

Natalie mi ha chiesto se conoscessi un cantante per lavorare insieme in una sua canzone. Qualcuno che se la cavasse molto bene. Le ho suggerito Mavis Staples.

David Bowie

Mercoledì 15 maggio 2002 – La batteria di Chamberlain

Non sono sicuro che io e Tony abbiamo un vero e proprio “approccio”. Non sembra mai che stiamo lavorando. Per questo album, in particolare, ho cominciato a scrivere l’estate dell’anno scorso e avevo tirato fuori 40 o 50 pezzi di melodia o strutture di accordi che mi piacevano. Metà dei pezzi sembrava ridondante appena entrato in studio. Stordito dalla tranquillità e dalla “gravità” del posto, tutto ciò che avevo scritto era, in un certo modo, galvanizzato e messo a fuoco lucidamente.

La prima persona che io e Tony Visconti convocammo per suonare fu Matt Chamberlian. Conoscevo il suo lavoro per fama e aveva lavorato per Natalie quando eravamo andati a dare un’occhiata allo studio, così avevamo parlato un po’. È diventato molto importante per me lavorare con persone che non siano “dive” o egomaniaci e, ragazzi, ne ho conosciuti, credetemi. Semplicemente non ho tempo per quello. La gente con la quale lavoro ora è equilibrata e sa chi è.

Matt ha un suo stile veramente impressionante come percussionista. Ti porta tutti oggetti strani nello studio: pezzi di ferro distorto, olio per macchinari, strani pezzi di costruzioni … e ci suona sopra. Registra qualche minuto di questa cosa nella sua macchina, poi crea dei loop dai pezzi che scegliamo e suona sopra a questi loop con la strumentazione tradizionale. In questo modo sono state create delle tracce di percussione veramente meravigliose. Uno dei vantaggi del soffitto molto alto era che potevamo mettere microfoni sospesi e registrare da lì. Dà tutta un’altra dimensione al suono.

Mentre suonava, Tony e io buttavamo giù delle tracce degli strumenti fondamentali. Tony al basso e io al sintetizzatore, piano o chitarra. La cosa interessante è che, sebbene abbiamo portato, durante le settimane, un certo numero di persone per suonare queste parti, spesso non suonavano nella maniera giusta. Stavano venendo d’effetto. Ero molto contento che gran parte di ciò che avevo suonato rimanesse sul lavoro finito. Sono io che suono la batteria sul loop da me creato in Cactus. In effetti, la sola cosa che non suono in quella traccia è il basso. Quello è Tony.

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Giovedì 16 maggio 2002 – Gli altri collaboratori e gli archi.

David Torn venne dopo, in maniera molto simile a Matt: butto giù una serie di loop e pezzi atmosferici su ciò che era già registrato. Il suo lavoro è molto spirituale e ha una qualità fragile e sfuggente che io adoro. Gli assolo più convenzionali o portanti sono stati suonati da altri in una fase successiva. Dave Grohl sulla canzone “giovane”, Townshend su Slow Burn e Gerry Leonard su un altro paio. Carlos Alomar fa la sua comparsa su Everyone Says Hi. Questo è tutto.

Conosco Pete da anni, naturalmente, e ho sempre pensato a lui come a un mentore. Ci siamo scritti l’un l’altro per un po’ sull’idea di fare qualcosa insieme ed era d’obbligo registrare la sua parte quando venne per il “Concerto per New York” nel quale eravamo entrambi ospiti. Il tempo ci è poi sfuggito di mano durante le prove, così alla fine lo abbiamo fatto spedendoci i dischi ProTools avanti e indietro attraverso l’oceano. E’ un pezzo di musica, quello di Pete, così angolare, toccante e profondamente sentito. Lo amo, semplicemente.

Per quanto riguarda gli archi, Tony ne ha scritto la maggior parte. Ho avuto più spazio in I Would Be Your Slave, tirandoli fuori dalla tastiera Trinity. E ho tirato fuori la linea di “Gemini”, ma tutto il resto è Tony. È un arrangiatore di archi superlativo, non potrei mai pensare di fare un album con lui senza utilizzare gli archi. Sarebbe criminale.

David Bowie

Venerdì 17 maggio 2002 – Lo Scorchio Quartet e le cover

Avevamo quasi tutto pronto la prima settimana di settembre. E poi accadde. L’11. Oltre alla nostra preoccupazione per la famiglia e gli amici, la cosa più bizzarra e dura, per noi, era che lo Scorchio Quartet doveva venire da New York a suonare le parti che Tony aveva scritto per loro. È stato terrificante che loro potessero solo pensare di venire a lavorare dopo un’esperienza così traumatizzante. Ma, come puntualizzarono, era lo stacco necessario di cui sentivano l’esigenza. Non fu facile per loro arrivare a Shokan, in ogni modo. I treni e altre cose erano fermi e le strade chiuse; non fu una cosa facile quella che fecero. Li ringrazierò sempre per questo. Il primo pezzo sul quale abbiamo lavorato è stato I would be your slave, una richiesta implorante a un essere superiore per mostrarsi in un modo che possa essere compreso. Un pezzo troppo “disturbante”, da spezzare i cuori.

Ho eseguito tre cover su questo album, in omaggio agli autori più che per altre ragioni. La canzone di Neil Young  I’ve Been Waiting For You è tratta dal suo primissimo album. Quando presi l’album, nel 1969, fui confuso dalla complessità prorompente del suono; era così maestoso, alto, solitario. Un vero grido. E ho sempre voluto fare quella canzone in concerto o da qualche parte.

La canzone dei Pixies Cactus è , secondo me, un pezzo veramente sottovalutato, perchè rende molto l’idea della scrittura di Charles. Non sono mai riuscito ad accettare che i Pixies si sono formati, hanno suonato e si sono sciolti senza che l’America li prendesse a cuore o riconoscesse la loro esistenza. È stata una disgrazia. Pixies e Sonic Youth sono stati così importanti per gli anni ’80.

La terza è una canzone della mia musa di un tempo: The Legendary Stardust Cowboy. Era anche lui alla Mercury Records negli anni ’60 e rubai la parte finale del suo nome per Ziggy. Quando ho letto sul suo sito che pensava che, siccome avevo preso una parte del suo nome almeno avrei potuto cantare una sua canzone, mi sono sentito in colpa e ho voluto rimediare immediatamente. Così ho fatto la cover di uno dei suoi brani migliori: I took a Trip on a Gemini Spaceship, anche se lui dice “Spacecraft” nella canzone.

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Martedì 21 maggio 2002 – Pensare negativo e pensare collaborativo

Quasi tutto il lavoro di sintetizzatore su Heathen è mio e qualche parte di piano. C’era uno scherzo che andava avanti per ogni canzone; io stendevo uno strato di suono che mi piaceva e Tony, ghignando come un gatto siamese, diceva: “ma sicuramente questi sono pre-impostati sulla tastiera, vero David?”. Il fatto è che la maggior parte dei sintetizzatori professionali analizzano una canzone e poi programmano il proprio suono per essa. I produttori hanno una sorta di innato astio ed elitarismo verso i pre-sets, sebbene molti di questi ragazzi siano stati proprio quelli che, originariamente, hanno programmato quei suoni con molta cura. Io amo i pre-sets. E se dico “No, non cambiarlo, voglio il pre-set”, la loro faccia cade e appare uno sguardo di disdegno. In ogni modo, ho fatto a modo mio nella maggior parte dei casi e la bizzarra sonorità di qualità “fatta in casa” di questo lavoro, che è piaciuta tanto a Pete Townshend, in genere sono io che sperimento.

Non ho mai reagito bene al pensare negativo. Quando mi si dice “non funzionerà” o “non provarci nemmeno”, mi irrigidisco. Cerco di mettere il giudizio a parte il più a lungo possibile. Poi, quando ho bisogno di ascoltare qualcosa in maniera critica, cerco un posto che non abbia niente a che vedere con il processo di produzione, lo studio e cose del genere. Farò finta di essere su una nave, mettiamo, e guardo il mare e c’è una nebbia distante all’orizzonte. Ascolterò il pezzo di musica da quel posto e vedrò cosa mi provoca. Uso sempre questo tipo di trucchi. Mi sbalordisce, a volte, come anche le persone intelligenti analizzino una situazione o giudichino dopo aver appena riconosciuto la struttura standard o tradizionale di un pezzo. Poi la confrontano con una reazione standard, e una reazione standard non permette deviazioni. Nel creare qualcosa, è il bacio della morte.

Ma mi piace molto il “pensare in collaborazione”. Lavoro bene con altra gente. Penso che spesso ho tirato fuori il meglio dal talento di qualcuno. Non voglio fare il modesto: troverete che, tranne un paio di eccezioni, molti dei musicisti con i quali ho lavorato hanno fatto le loro cose migliori con me. Vi basta ascoltare gli altri loro lavori per scoprire quant’è vero. Posso gettare una luce sulla loro forza. Li aiuto ad arrivare in posti dove non sarebbero mai giunti da soli. Ci sono eccezioni, ovviamente: Stevie Ray Vaughan e Robert Fripp sono di certo le prime che vengono in mente.

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Mercoledì 22 maggio 2002 – Gli strumenti

Alcuni anni fa un caro amico mi ha portato l’EMS AKS briefcase synth originale che Eno ha usato in molti dei dischi classici degli anni ’70. Infatti era quello che usò anche su Low e Heroes. Era stato messo all’asta, e lo ricevetti per il mio cinquantesimo compleanno. Lo abbiamo rimesso in servizio, è evidente in Cactus. Tutto, nell’EMS, è miniaturizzato oltre l’incredibile; non esisteva niente del genere al tempo. Portarselo attraverso la dogana è stata sempre un’operazione da far torcere le budella, perché sembra una bomba in una valigia ai raggi X. Non avrei mai sognato di poterlo avere oggi.

Lo stilofono è uno dei più stupidi pre-sintetizzatori. Venne fuori negli anni ’60 e io lo usai per la prima volta in Space Oddity, mi pare fosse il 1969. Era molto economico e la tonalità è orribile. Suona solo una nota alla volta e bisogna usare uno stilo per arrivare alla tastiera, tipo una penna. Non ha controllo dei volumi così li controlli tenendo la mano sopra le casse. Ma ha qualcosa quello strumento. Lo potete sentire molto bene alla fine di Slip away. Tony ha suggerito che io coprissi le note più alte di alcuni delle sue parte di archi con lo silofono, e certamente dà loro una certa “levitazione”. Il ‘Longwave Theremin’ e un vero e proprio Theremin sono stati usati in un paio di trace. Tony ha quello vero e proprio da parecchi anni. È un grande fan del Theremin e ha mostrato a tutti noi un grande documentario sulla triste vita di Theremin (l’uomo). Questo strumento sonoramente doloroso ha lasciato il suo marchio su “Gemini”, tra le altre.

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Giovedì 23 maggio 2002 – “Slip Away” e “Afraid”

Abbiamo un piccolo posto bellissimo per stare lì io e la mia famiglia, e mangiavamo in una sorta di sala da pranzo in comune. Una volta che sono salito negli studi in cima alla montagna, non ne sono più sceso fino a quando non avevamo finito. Mi svegliavo alle 6 del mattino e trascorrevo le prime ore a mettere insieme alcune strutture di accordi e melodie e parole, cercando suoni che volevo usare. Poi, verso le dieci, Tony arrivava e ci mettevamo al lavoro.

Sia Slip Away sia Afraid sono state registrate all’inizio dell’anno scorso e, siccome mi piacevano molto, le ho spostate semplicemente su quest’album. Abbiamo ri-registrato completamente Slip Away sopra uno dei grandiosi loop di Matt. Negli anni ’70, tutti quelli che conoscevo, ad una certa ora, sarebbero corsi a casa per vedere il programma di Uncle Floyd. Era sul canale 68 e la trasmissione sembrava fosse fatta nel suo soggiorno nel New Jersey. Tutti i suoi amici era coinvolti, ed era divertentissimo. Aveva quell fascino da venditore fallito e, sebbene assolutamente orientato ai bambini, conoscevo molta gente della mia età che non se lo sarebbe perso per nessuna cosa al mondo. Due degli ospiti regolari della trasmissione erano Oogie e Bones Boy, pupazzi ridicoli fatti con pallette da ping pong e cose simili. Sono citati nella canzone. Adoravo quello show.

Mi è sempre piaciuta la versione di Afraid che avevo inciso con Mark Plati, così io e Tony abbiamo lavorato un po’ di più sulle parti di chitarra in modo che fosse più in linea con il resto dell’album. Tony poi l’ha missata. Penso che possa essere una grande canzone dal vivo. Naturalmente, è sarcastica nella sua asserzione che se “giochiamo questo gioco tutto sarà a posto”.

David Bowie

Venerdì 24 maggio, 2002 – “Heathen” e la catarsi.

A volte inciampi su alcuni accordi che ti gettano in un umore riflessivo. Slip Away è nata così. È buffo, ma anche quando ero un bambino, avrei scritto di “vecchiaia e vecchi tempi” come se avessi molti anni dietro me. Ora ci sono, così c’è una differenza nel peso della memoria. Quando sei giovane, stai ancora “diventando”; ora, alla mia età, il punto focale è “essere”. E tra non molto tempo sarò concentrato sul “sopravvivere”, ne sono certo. Mi manca, in qualche modo, la fase del “divenire”, perché molte volte semplicemente non sai cosa possa esserci dietro l’angolo. Ora, naturalmente, ho già bussato alla porta e ho già sentito una flebile risposta. Ma non so ancora cosa dica la voce, o in che lingua sia la risposta.

Stranamente, ci sono alcune canzoni che non vorresti proprio scrivere. Non mi è piaciuto scrivere Heathen. C’era qualcosa di così minaccioso e definitivo in essa. Era di mattina, molto presto, il sole stava sorgendo e, attraverso le finestre, potevo vedere due alci ruminare giù nell’erba del campo. In distanza una macchina strisciava piano nella riserva e queste parole uscivano fuori e c’erano lacrime che scendevano sulle mie guance. Ma non potevo smettere; cadevano giù, semplicemente. È una strana sensazione, come se qualcun altro ti guidasse.

Dall’altra parte, quello che mi piace che la mia musica mi faccia, è che svegli i fantasmi in me. Non i demoni, capite, ma gli spettri. Lì, ho usato quel vecchio linguaggio, di nuovo. Non credo nei demoni, Non penso ci sia una cosa del genere. O il Male. Non credo in qualche forza fuori da noi stessi che crea cose cattive. Penso a queste cose come a una disfunzione di qualche sorta. Niente Satana, niente diavolo. Creiamo così tanti circoli su questa linea retta su cui, dicono, stiamo viaggiando. La verità, certo, è che non esiste alcun viaggio. Arriviamo e partiamo. Tutto allo stesso tempo.

David Bowie

Lunedì 27 maggio 2002 – Il futuro

Al fine dell’album, il paganesimo è uno stato mentale. Prendetela come se mi riferissi ad uno che non osserva il suo mondo. Non ha luce mentale. Distrugge quasi inconsapevolmente. Non riesce a sentire la presenza di alcun Dio nella sua vita. È l’uomo del 21esimo secolo. In ogni modo, non c’è un tema diretto o un concetto dietro Heathen, solo una serie di canzoni, ma in qualche modo c’è un concetto che corre loro attraverso che è abbastanza forte come molti dei miei album tematici.

Heathen è stata una delle prime canzoni ad essere scritta ed è diventata il titolo di lavorazione dell’album. Una volta completato non abbiamo visto motivo di cambiarlo in quanto sembrava riflettere alcuni importanti punti rimarcati nelle canzoni.

Sono molto contento di portare queste canzoni in giro. Mi hanno chiesto continuamente di fare un grande tour mondiale e sono arrivato al punto in cui penso che sarebbe una grande cosa. Ci sono così tanti pezzi nuovi che non ho mai cantato dal vivo in Australia e in Giappone e in Sud America. Ma non sarà quest’anno. Lexi è ancora troppo piccola per partire per lunghi periodi e non sarà grande abbastanza per viaggiare con noi ancora per un po’ di tempo. Ho veramente bisogno di continuare a scrivere quest’ anno e vado sempre a intuito nel sentire ciò che è giusto. Tra due anni forse? Chi lo sa.

Ho dovuto rassegnarmi, molti anni fa, di essere non troppo articolato quando accade di dover spiegare cosa provo per le cose. Ma la mia musica lo fa da sola, lo fa davvero. Lì, negli accordi e nelle melodie, c’è tutto ciò che voglio dire. Le parole danno più spessore. E’ sempre stato il mio modo di esprimere ciò che per me non è esprimibile in alcun senso.

Quello che è veramente illuminante per me, ora, è la sensazione che io stia arrivando in un posto di pace con la mia scrittura, una cosa che non era mai successa prima. Penso che sto per scrivere alcune delle cose più significative che abbia mai scritto, nei prossimi anni. Ho molta fiducia e stima della mia abilità in questo momento. Ma devo pensare a me come a un uomo molto fortunato. Robert Johnson ha avuto l’equivalente di un solo album di valore come eredità. Questo è tutto ciò che la vita gli ha concesso.

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EZIO BUSSOLIN

A 60 anni conoscevo solo Rebel Rebel di Bowie , avevo comprato il 45 giri quando uscì.
Qualche mese fa ho visto in tv uno speciale su di lui e sono rimasto senza parole. Emozione, commozione curiosità di scoprire il personaggio dietro le musiche sublimi e i testi mai banali.
Grazie a tutti voi che con la vs. passione mi date la possibilità di recuperare tutto il tempo perduto.

RUGGERO

Capire da dove parte l’ Uomo o l’ Artista, con DB è come fare un viaggio e DAVID BOWIE è uno stupendo Cicerone,grazie WHITE DUKE. P.S. E pensare che avrebbero voluto chiamarmi DAVIDE!!!!!

Susanna

Grazie mille..Ne vorrei… Ancora, ancora…. Ancora.
Amo leggere solo i Suoi virgolettati nei numerosi, forse ormai troppi libri su di Lui.
Emozionante leggere i Suoi pensieri, impressioni, emozioni…. Quelli veri, scritti da Lui… non riportati dai tanti, troppi “saputi”
Poi con il mio scarso Inglese, grazie della traduzione….
Caso mai…. Trovate altro materiale…Via, avanti così

Nadia Mezzadri

Fantastico !!!
Grazie mille per aver pubblicato questo meraviglioso pezzo di vita di David
⚡️⭐️❤️

Ina

Leggere questo “diario” di David è stato come.. sentire le parole dalla sua voce…..che emozione!!

Giusi

come creava, quello che pensava..credo che David sia stata una bella persona.. un pò folle..come tutti glii artisti, ma bella dentro..e pure fuori
Grazie della pubblicazione. Se avete altri tesori chiusi nello scrigno, tirate fuori!

angelarepetto

Meraviglioso! Speriamo ci sia dell altro da poter leggere di questo grande uomo e grande artista. Grazie e un dono enorme che ci avete fatto. Grazie David per tutto!!!

derivando

…dall’altra parte, quello che mi piace che la mia musica mi faccia, è che svegli i fantasmi in me. Non i demoni, capite, ma gli spettri…

Tiziana

Grazie mille VG, che bello poter leggere un Diario e scoprire che pur travolto dagli impegni, DVD trovava il tempo, come tanti di noi, per riflettere e tenere traccia delle cose vissute.

Teresa cardia

Bello, ti da l impressione di un uomo fragile perché sente il peso del tempo che passa. Interessante le premure che mostra per la figlia ancora piccola. Comunque traspare la sua bipolarita’. Bipolarita’ che secondo me è stata funzionale alla sua arte.Bello leggerlo. È come se fosse vivo

Flavia

Potreste pubblicare anche il testo originale in inglese per favore? grazie!

Gius

Mi ha veramente emozionato leggere questa pagina.
.i suoi scritti..
.È tutta un’altra musica.
Grazie!

Laura Gregorig Saunig

Innanzitutto grazie per questa pubblicazione che permette di capire l’uomo e il musicista.
Heathen mi piace moltissimo e partecipare a com’è nato per me è una vera chicca, sarebbe molto bello saperne di più anche su altre creature.